Da quando l’emergenza Covid è scoppiata agli inizi di Marzo e fino ad oggi, personalmente, non ho rinunciato a viaggiare, ma mi sono adattato a un modo nuovo di farlo, che tenesse conto delle normative di sicurezza. Non sto dicendo e non è mia intenzione farlo, che i sistemi adottati siano giusti, così come non ho intenzione di giudicare se sono sbagliati, ma voglio dire che se per salire su un aereo, devo accettare di indossare una mascherina per l’intera durata del volo, giusto o sbagliato, d’accordo o contrario, se voglio poter salire, devo adeguarmi alle nuove regole, modificando la mia consuetudine. Spesso, come vedremo tra poco, queste regole cambiano così velocemente, che in alcuni casi diventa quasi impossibile prevedere in maniera logica quello che succederà.

Il mio primo spostamento dopo il lockdown primaverile, è stato esattamente 2 giorni dopo la riapertura dei confini regionali, nel mese di Giugno, prima ancora che riaprissero i confini nazionali. In quei giorni, decisi di andare a visitare Venezia, prima di tutto perché non ero mai riuscito a visitarla prima, secondo perché sapevo di trovare una città deserta, drammaticamente senza turisti ma incredibilmente rara e forse unica nella sua storia. In ultimo, perché dopo 3 mesi di chiusura totale in casa, ogni posto nuovo sarebbe stato ben accetto. Qui, avvenne il mio primo incontro con i distanziamenti, i mezzi pubblici e i posti da lasciare liberi, l’uso delle mascherine per andare ovunque e i flaconi di igienizzante mani obbligatori. Fu comunque un compromesso ben accetto, se poteva garantire oltre ad evitare la malattia, anche il poter tornare a viaggiare.

Poco dopo il mio rientro dal Veneto, nei primi giorni di Luglio, arrivò il momento per Carlo e Paola, di raggiungere in auto la cittadina di  Zaboric, in Croazia, dove su loro richiesta, gli avevo trovato un’appartamento dove passare le ferie estive, d’accordo che nei loro ultimi 2-3 giorni, li avrei raggiunti per poi guidarli in Bosnia a Medjugorie, Mostar e Sarajevo. Da oltre un mese, avevamo compilato un modulo online sul sito del governo croato, a cui era seguito l’arrivo di un codice identificativo, che serviva per poter entrare fisicamente nel paese, insieme alla carta d’identità. Quello stesso giorno invece, controllando le regole previste dalla confinante Bosnia, risultava che l’ingresso era consentito solo a chi era munito di passaporto e con l’obbligo della compilazione di un modulo alla frontiera.

Pensai che era semplicemente questione di giorni e che presto o comunque prima del nostro arrivo, avrebbero modificato anche loro le procedure, rendendole più morbide. Il problema sorgeva dal fatto che ne Carlo e neanche Paola, avevano il Passaporto. Fu così che loro partirono e giunsero tranquillamente a destinazione, d’accordo che io avrei controllato eventuali aggiornamenti alla modulistica e nel caso avrei compilato anche i loro pass, per consentirgli l’accesso. Due settimane dopo, io andai per compilare il mio permesso prima di partire verso Ancona per imbarcarmi sul traghetto diretto a Spalato e scoprii che non era più necessario, perché si era tornati alle procedure pre-covid. Perfetto pensai, quindi probabilmente anche la Bosnia avrà modificato ed andai sul sito a controllare.

Certo, aveva modificato, ma addirittura in peggio, perché da loro, si stava diffondendo una nuova emergenza, portata dalla Serbia ed erano stati addirittura costretti a vietare l’ingresso a chiunque !

Questo, per spiegare il gran caos che regnava in quel periodo, con due paesi confinanti che fino a pochi anni fa erano parte della stessa nazione, che nello stesso giorno avevano adottato due soluzioni completamente opposte. Fu così che io, senza neanche il codice che avevano dovuto presentare Carlo e Paola, raggiunsi la Croazia e restai 3 giorni con loro, prima di rientrare assieme in Italia. Partimmo anche presto quella mattina, perché dovendo entrare prima in Slovenia e poi in Italia, avevamo due confini di stato, dove ci aspettavamo controlli e quindi code, mentre non trovammo niente e nessuno e fu come passare per una strada normale.     

Un paio di settimane dopo essere rientrato dalla Croazia, venne il tempo di partire per l’Islanda, isola  che, trovandosi nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico tra la Scandinavia e il Canada, adottò una politica che prevedeva un tampone obbligatorio per chiunque fosse arrivato nel paese, facilitati dal fatto di avere un solo aeroporto internazionale e un solo porto, da dove potevano arrivare i turisti stranieri. Monitoravo da giorni la situazione, proprio per poter essere al corrente di eventuali modifiche alle disposizioni, che infatti arrivarono, proprio pochi giorni prima della mia partenza.

Fino alla metà di Luglio infatti, il mondo si trovava in una Pandemia Mondiale, con tanto di emergenza dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, perciò, i tamponi in aeroporto, erano gratuiti per i passeggeri in arrivo in Islanda, che per lo più erano in viaggio di lavoro, oppure islandesi in rientro dall’estero. Dal momento che l’allarme cessò almeno sulla carta e fu dichiarata la fine della pandemia, vennero aperti i trasporti tra le varie nazioni e il flusso di persone in arrivo, oltre a diventare per lo più di turisti, sarebbe anche aumentato esponenzialmente, rendendo di fatto impossibile che una tale mole di lavoro per il servizio sanitario nazionale, continuasse a svolgersi in maniera gratuita.

Venne così introdotto il tampone obbligatorio per l’ingresso nel paese, ad un costo che andava da 9 a 11 mila corone islandesi, in base al metodo di pagamento scelto, abbinato a un modulo che doveva essere compilato online su un sito del governo islandese, prima della partenza dall’Italia. Questo modulo, oltre ad avvisare che si stava per arrivare nel paese e ci si prenotava per l’esame, dava la possibilità di effettuare il pagamento in maniera anticipata a 9 mila corone, oppure di pagare successivamente in aeroporto prima dell’esame, il corrispettivo di 11 mila corone. Un po per comodità e un po perché dopo 15 anni di aeroporti e voli, mi sono fatto un po di esperienza, preferisco pagare subito e stampare il mio foglio con il codice IQ dell’avvenuto pagamento.

Se non avessi controllato costantemente eventuali modifiche alle leggi islandesi e fossi andato all’aeroporto senza quel foglio, non avrei potuto nemmeno imbarcarmi.

Giunto a Keflavik, scesi tutti dall’aereo, ci dirigemmo velocemente verso l’addetto che, in fondo al salone degli arrivi, controllava proprio quei fogli. Davanti a me, c’erano più della metà dei passeggeri che erano presenti sul mio volo e vidi che uno dopo l’altro venivano mandati alla destra, mentre solo un paio, erano stati indirizzati a sinistra. Quando arrivai io, praticamente tutti erano nuovamente in un’altra fila, circa 40-50 metri dopo il primo controllo al quale mi stavo apprestando ad arrivare. Quando fu il mio turno, l’addetto guardò il foglio, mi disse: “Paid” cioè “pagato” e mi indicò le scale.

In pratica, il 90% dell’aereo, era stato indirizzato verso le casse per effettuare il pagamento del tampone, mentre io, che lo avevo già pagato online, oltre ad aver risparmiato 15 euro, risparmiai anche due code che sarebbero state interminabili. Fatto il tampone in uno dei 12 box aperti contemporaneamente per effettuare il prelievo, ritirai il foglio dove erano elencate le procedure per ricevere il risultato, i tempi e i comportamenti che dovevo seguire fino a quel momento. Uscito dall’aeroporto, l’unico sistema per raggiungere il centro di Reykjavik, fu la navetta aeroportuale, vista l’ora tarda del volo. Una volta giunto in città però, era fatto divieto di utilizzare qualsiasi altro mezzo pubblico fino al ricevimento del risultato del tampone, ed era fortemente sconsigliato recarsi all’interno di centri commerciali, supermercati, negozi e ristoranti, se non strettamente necessario.

Del resto, il tempo d’attesa per la ricezione del risultato, era di massimo 12 ore dal prelievo se fatto in orario diurno e poco più se fatto di notte. La mattina seguente, ancora prima di riuscire ad uscire dall’ostello per andare a fare un giro a piedi nel centro, alle ore 9, mi arrivò un Sms, dove risultavo negativo al Covid e dove mi auguravano buona permanenza in Islanda. Erano passate esattamente 13 ore dall’esame che avevo fatto alle ore 20 della sera precedente. Dopo circa 3 giorni

dal mio arrivo, cominciò a spargersi la voce che era risultato positivo un passeggero su un volo arrivato a Keflavik in giornata e che stavano monitorando tutti gli altri passeggeri.

Fortunatamente, tutto si risolse con il ricovero dell’unico passeggero positivo, che faceva salire a circa 6 o 7 soltanto, i casi di Covid nell’intera nazione e qualcosa come il 2° o il 3° soltanto, arrivato come turista, mentre gli altri erano cittadini islandesi rientrati in patria. Il mio soggiorno, si concluse in modo tranquillo e normale, così come il rientro, dove non mi fu chiesto nient’altro che utilizzare la mascherina durante il volo. Anche in aeroporto a Milano, nessun controllo aggiuntivo, se non il termo scanner per la rilevazione della temperatura.

Come vedete, ogni destinazione, ha una diversa procedura da seguire, che cambia anche molto velocemente, in base alla situazione e al livello di proliferazione del virus. Io in fondo, non ho avuto molti disagi, se non qualche modulo da compilare e un tampone da dover pagare, ma moltissimi altri turisti, si sono addirittura visti cancellare, o peggio modificare, giorno e ora dei voli all’ultimo minuto, costringendoli a non potersi riorganizzare in tempo per cambiare destinazione. Molti poi, non hanno avuto neanche il risarcimento dei biglietti pagati, ma solo un voucher valido 12 mesi che di questo passo diventerà difficile poter utilizzare. Questi però, sono solo alcuni dei miei spostamenti estivi con relative regole di viaggio, ovvero quelli inerenti a Giugno e Luglio. Nella seconda parte di questo articolo che potete trovare subito dopo questo, vi racconterò quello che mi è successo durante Agosto e Settembre con i viaggi ad Atene, Parigi, Roma e infine Catania.

Ci vediamo nella 2ª parte.

Grazie e a Presto